domenica 18 febbraio 2018

Quando gli ignoranti correggono (male) i congiuntivi di Di Maio

Gli errori grammaticali che riguardano il congiuntivo vengono corretti da due categorie di persone: quelle che conoscono il congiuntivo, e quelle che credono di conoscerlo. Quest'ultime si espongono a figure miserevoli, perché non c'è forse niente di culturalmente indegno quanto il bacchettare con sussiego errori che solo per ignoranza si credono tali.

La faccenda (mi scuserete, non è colpa mia) è diventata noiosa. "Di Maio ha sbagliato il congiuntivo". Come se fosse un fianco scoperto, come se fosse quello il punto che l'affonderà. Come se fosse quello il problema. Stavolta l'interesse della faccenda dovrebbe stare nel fatto che Di Maio ha presentato per iscritto, sorridente nella foto che vediamo, un impegno pubblico con gli elettori; e qualche persona, che si crede un'aquila inflessibile e vero bastione della lingua italiana contro la barbarie, ha iniziato a gracchiare ai quattro venti della rete che nell'ultima frase ("in una sola frase!") ci sono tre errori, di cui due sui congiuntivi. Ebbene, non è così.

Chiariamo subito il punto più importante: l'impegno scritto presentato da Di Maio può e deve essere discusso su un piano politico. Il discorso sulla spesa pubblica volta a retribuire i politici è vecchio quanto la democrazia stessa; inoltre la retribuzione è sempre un parametro relativo alla prestazione, non è mai alta o bassa in assoluto. Inoltre, come si può leggere, un punto critico di questo impegno è che presuppone una chiara contrarietà all'assenza di vincolo di mandato costituzionalmente sancita per i parlamentari, che a quanto pare dal testo vengono considerati agli ordini di Di Maio.
Ma ciò che fa parlare di questo impegno sono i supposti errori grammaticali. E adesso li vediamo. Giusto per affermare con discorsi ulteriori che di solito, chi si concentra polemicamente su queste cose, capisce di politica quanto capisce di lingua. Si può leggere dal foglio:

"[…] mi impegno a far votare in Parlamento a tutto il gruppo parlamentare che rappresento, una legge che dimezza le indennità dei parlamentari e introduce la rendicontazione puntuale dei rimborsi spesa."

‘Dimezza' e ‘introduce'. "Eh, ma qui serve il congiuntivo, ‘dimezzi' e ‘introduca'!" No. L'indicativo va benissimo. Questo modo dà concretezza, realtà: Di Maio non si impegna a ideare una legge del genere, ma già a farla votare. Nel suo intento comunicativo, questa legge è già sul tavolo, viva, che chiede d'essere sostenuta a monte dal voto elettorale.
"‘Rimborsi spesa'?! Semmai ‘rimborsi spese‘!" Be', ‘rimborsi spese' è più comune. Ma si deve avere un'idea ben misera dell'ortografia, se si pensa che sia un errore (per forza anche concettuale) parlare di rimborsi di spesa. Il termine ‘spesa' sa avere un profilo generale, significando letteralmente i denari spesi (expensa pecunia): volentieri indica collettivamente molti esborsi diversi considerati insieme. La lingua è articolata e flessibile come un grande albero di tasso, non è un soprammobile di vetro rigido e fragile.

Insomma, solo chi ha capito poco le regole della grammatica e dell'ortografia può avere tanta sprezzante sicurezza da correggere tutto in base a quelle esili e ferree regoline di massima che è riuscito a imparare. Proprio nelle sfumature sta la ricchezza della nostra lingua, e nel crepuscolo d'interregno fra indicativo e congiuntivo possiamo esprimerci nella maniera più precisa e potente. "Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante sogni la tua filosofia".

Ah, peraltro, un errore bruttarello e di moda nell'impegno di Di Maio c'è, e riguarda la punteggiatura. "[Io] mi impegno a far votare […], una legge". Tra verbo e soggetto, tra verbo e complemento oggetto non ci va la virgola, perdiana! Non è mica una pubblicità da infilare nel momento di suspense.



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